PREMESSA
Esattamente un anno fa, il 5 gennaio 2014, mandavo alla redazione di Classix Metal, rivista con la quale al tempo collaboravo, questo articolo e due scritti connessi. A tutt’oggi non è stato pubblicato, anche se non escludo che la sua uscita in edicola possa avvenire a breve (recentemente, infatti, sono stato contattato dal vicedirettore, che, oltre a domandarmi se fossi interessato a redigere un ultimo articolo, mi ha comunicato la probabile futura pubblicazione di questo mio pezzo). In ogni caso, mi sembra trascorso un tempo sufficiente a legittimare il mio utilizzo dell’articolo senza pregiudizio per nessuno; convincimento avvalorato dalla natura tuttora inedita dell’opera, sulla quale, peraltro, non vige nessun diritto di esclusiva in capo a persona diversa dall’autore. Provvedo quindi alla pubblicazione integrale di articolo e connessi “box”, con giusto l’espunzione dell’unico riferimento a Classix Metal, sperando di non fare cosa sgradita alla redazione, costituita di persone competenti, corrette e piacevoli, di cui serbo, e desidero continuare a serbare, un’ottima opinione. La quale, invece, non ho di questo articolo, “tagliato” per esigenze editoriali specifiche, che, al giorno d’oggi, vivrei come una costrizione, anziché come un’occasione di labor limae. Sono, tuttavia, affezionato a questo pezzo, perché mi ricorda un periodo ormai terminato della vita; lo considero un canto del cigno. Dite voi, giudici ultimi, se il pennuto è intonato o meno.
VINILE E CELLULOIDE
Nel secolo americano, il ventesimo, gli anni ’80 sono stati forse il decennio che più ha visto gli U.S.A. in posizione dominante: gli anni dell’ultraliberismo e della finanza trionfante, dello scudo spaziale e dell’affare Iran-Contras, della lacca e dell’aerobica, di “Miami Vice” e di “Dallas”. E di Schwarzenegger e Stallone: nel diffondere la cultura a stelle e strisce, infatti, il cinema ha ricoperto un ruolo determinante. Ma se suoni e immagini sono singolarmente mezzi potentissimi per veicolare messaggi ed emozioni, ancor più potenti essi risultano quando vengono combinati, e infatti nessuna opera cinematografica può fare a meno della propria colonna sonora, che in certi casi risulta persino più memorabile della stessa pellicola. Le colonne sonore seguono tendenzialmente due forme stilistiche: fanno utilizzo di strumenti e sonorità classiche, affidandosi alla grandiosità e alla versatilità delle orchestre per commentare le immagini, o si servono della musica popolare a loro contemporanea (o dell’epoca in cui il film è ambientato) per meglio costruire l’ambientazione, e quest’ultima soluzione risulta particolarmente interessante per la sua costante mutevolezza, necessaria per adattarsi ai gusti e alle mode dei tempi. Negli anni ’80 questo secondo filone ha prodotto il definitivo ingresso del metal in ambito cinematografico. Il nostro genere musicale, del resto, non solo costituiva la next big thing del momento, ma risultava anche funzionale a diverse esigenze filmiche: le sue tematiche macabre e violente erano perfetto complemento del cinema horror, che conosceva in quel decennio particolare fortuna (anzi, il binomio diede origine a uno specifico filone di “heavy metal horror movies”, dove protagoniste erano proprio metal band, talvolta persino interpretate dagli stessi musicisti) e le sue sonorità epiche e maestose si prestavano magnificamente a commentare trame tipicamente americane di “rise, fall and rise again”. Nel corso degli anni ’80, quindi, l’ hard ‘n’ heavy, in tutte le sue varianti (ma soprattutto in quelle più accessibili, come AOR e glam), apparve in numerose soundtrack, a corredo di opere cinematografiche dei più disparati genere, fortuna commerciale e meriti artistici. Cercando di rifuggire dall’ovvio, come ci è congeniale, abbiamo fatto lavorare le meningi e abbiamo rispolverato venti colonne sonore (tutte pubblicate ufficialmente) di film del periodo. Ne è uscito qualche bel ricordo (per chi c’era) e qualche chicca curiosa, persa tra le pieghe del tempo: a voi dire se ne è valsa la pena. E ora, volume, motore, azione!
FUSI DI TESTA (WAYNE’S WORLD, 1992)

Spin-off cinematografico di un popolare sketch della trasmissione Saturday Night Live, questa storia di due metallari nerd e del loro programma tv divenne un vero e proprio caso culturale, introducendo, oltre alla consueta carrellata di gadget, persino tormentoni linguistici. La colonna sonora fa storia a sé, perché riesce nel mirabile intento di condensare decenni di rock in 14 pezzi, finendo in vetta a Billboard e riportandoci, dopo circa 15 anni, anche “Bohemian Rhapsody”. Una compilation è spesso questione di equilibri interni, e questa scelta di pezzi – Black Sabbath ma anche Red Hot Chili Peppers, Soundgarden ma anche Rhino Bucket – si dimostra perfettamente bilanciata in ogni sua parte. Lavoro eccellente, la cui unica pecca è la mancata inclusione di Ugly Kid Joe e Temple Of The Dog, pure uditi nel film.
SOTTO SHOCK (SHOCKER, 1989)

Per il re dell’horror Wes Craven fallimento al botteghino (c’entrerà la recitazione di Kane Roberts?) ma successo musicale, con la nascita, per l’occasione, del supergruppo The Dudes Of Wrath: Paul Stanley e Desmond Child alla voce, Vivian Campbell e Guy Mann-Dude alle chitarre, Rudy Sarzo al basso e Tommy Lee alla batteria. Risultato? Due pezzi di puro hard rock del tempo, con l’omonimo “Shocker” che si segnala per la potenza e il ritornello memorabile. Ma anche il resto vale il prezzo del biglietto: i Megadeth in formazione a tre (caso unico nella loro storia) riscuotono grande successo con la cover di “No More Mr. Nice Guy”, i Dangerous Toys convincono con “Demon Bell” e Iggy Pop si misura con la tozza ma avvolgente “Love Transfusion”, scritta da Alice Cooper e Desmond Child. E la scossa la prendiamo anche noi: a ogni ascolto.
NON APRITE QUELLA PORTA 3 (LEATHERFACE: THE TEXAS CHAINSAW MASSACRE III, 1990)

Terzo capitolo della saga della famiglia Sawyer, noti “motosegaioli” del Texas orientale, e primo non diretto dall’originario ideatore Tobe Hooper: sadismo, anche nei dialoghi, a ogni piè sospinto e atmosfere notturne e minacciose. Quale altro commento musicale, dunque, se non il thrash? Questa colonna sonora punta più di ogni altra sui suoni estremi dell’America del tempo, inanellando qualche chicca (eccellente “When Worlds Collide” degli speedster Wrath, come pure l’opener “Leatherface” dei Lääz Rockit) e risultando nel complesso di livello insospettabilmente alto: curioso il rock ‘n’ roll della one-off band Utter Lunacy, formata da membri di Bulletboys, Poison, Jethro Tull, Hurricane e Dio. Album tanto valido quanto raro, non fu beneficiato dal successo del film (dal quale la Northstar trasse una saga a fumetti in 4 volumi). Peccato.
BLACK ROSES (1988)

Ancora luoghi comuni cinematografici sul metal: una band di satanisti, i Black Roses, cerca di corrompere le menti giovanili con la sua musica infernale, lasciandosi dietro una scia di sangue. E la band viene creata davvero, appositamente per incidere la colonna sonora, contattando il meglio del panorama hard ‘n’ heavy: Mark Free alla voce, Mick Sweda e Alex Masi alle chitarre, Chuck Wright al basso e Carmine Appice (che ha anche una piccola parte nel film) alla batteria. Il risultato sono quattro ottimi brani di heavy americano, scritti e suonati con la massima perizia. Completano il tutto altri sei pezzi di Lizzy Borden, David Michael Phillips, Bang Tango, King Kobra, Tempest e Hallow’s Eve. Opera di livello soprendentemente elevato e migliore della pellicola a cui si accompagna, non casualmente questa soundtrack è uscita su Metal Blade.
THE DECLINE OF WESTERN CIVILIZATION PART II: THE METAL YEARS (1988)

Bloccata sul Sunset Strip da un ingorgo, Penelope Spheeris si accorge della folla di appariscenti capelloni e capisce che è tempo di dare un seguito al suo documentario sul punk losangeleno, narrando la sensazione del momento: ne esce “La Commedia Umana” versione metal, tragedia (gli Odin dentro una jacuzzi che, birre e donne alla mano, cianciano di quanto poco gli manca per diventare rockstar) con qualche perla (Paul Stanley sdraiato tra due playmate che sentenzia: “ciò che il denaro ti consente è di dimenticarti del denaro”). La colonna sonora sfodera il meglio della scena: la versione live di “Bathroom Wall” dei Faster Pussycat batte l’originale, e l’altrimenti inedita “You Can Run But You Can’t Hide” degli Armored Saint è uno dei loro apici. Se poi aggiungiamo Motörhead, Megadeth, Queensrÿche e Metal Church, il quadro è completo: la migliore soundtrack metal anni 80.
IL MIO AMICO SCONGELATO (ENCINO MAN, 1992)

Sorta di “Ace Ventura” ante litteram, questo film godette poco riscontro di pubblico. Eppure i produttori le avevano tentate tutte, e per rendersene conto basta leggere la tracklist della colonna sonora, sagace riassunto delle tendenze del periodo: apre Vince Neil con “You’re Invited But Your Friend Can’t Come”, preludio alle vette del di poco successivo LP “Exposed”, proseguono i Cheap Trick con una spinta cover di “Wild Thing” e i Queen con un remix hard di “Stone Cold Crazy”, quindi spazio alla contemporaneità crossover con Scatterbrain e Infectious Grooves, senza dimenticare per strada Steve Vai e l’Edgar Winter Group e un paio di furbe puntate nell’easy listening e nell’hip hop. Operazione di marketing anche godibile ma riuscita a metà, il cui principale risultato è di far risaltare il distacco qualitativo tra nomi storici e giovani virgulti.
MORTE A 33 GIRI (TRICK OR TREAT, 1986)

Questo film è divenuto ormai leggendario, a causa di due camei attoriali: Gene Simmons nei panni del dj (memorabile nella versione originale il tormentone “wake up sleepy heads, it’s party time!”) e Ozzy ad impersonare un telepredicatore che si scaglia contro la degenerazione del rock ‘n’ roll. E che dire della scena con la madre del protagonista che guarda sconcertata la copertina di “Unveiling The Wicked” degli Exciter chiedendosi che razza di persona ha allevato? La soundtrack è affidata ai Fastway, che per l’occasione immergono il loro hard rock dai suoni tradizionali in una patina di riverbero da cui lampeggia l’insegna “Eighties”. Almeno quattro pezzi si imprimono immediati nella memoria: l’anthem “Trick Or Treat”, la viscida “Stand Up”, il ritornello di “After Midnight” e la potenza di “Tear Down The Walls”. Il vero classico del connubio metal-horror.
AIRHEADS – UNA BAND DA LANCIARE (AIRHEADS, 1994)

Grottesca storia di un trio che sequestra un dj radiofonico nella sua stazione per far udire il proprio demo, “Airheads” vanta una eccellente colonna sonora, assemblata con criterio e capace di soddisfare inveterati metalhead senza sacrificare la sua contemporaneità, quei primi anni ’90 in cui il rock “alternativo” dominava le classifiche: non solo gli Anthrax alle prese con “London” degli Smiths e il duetto Motörhead-Ice T funzionano, ma anche le altre scelte si rivelano azzeccate, come i 4Non Blondes che rifanno i Van Halen e il quasi scan rock dei D Generation. La chiusura, affidata a “We Want The Airwaves” dei Ramones, certifica la scanzonata comicità del film. Curiosità: per impersonare il bassista, Steve Buscemi si è ispirato a Rex dei Pantera, dal quale ha mutuato anche il nome.
ROCKY IV (1985)

Nel 1984 Reagan viene rieletto Presidente con la più alta percentuale di voti di sempre: è quindi naturale che le coordinate ideologiche del suo mandato influenzino le arti. Archetipo di tale influenza è questo film, la cui colonna sonora è un trattato di AOR, una finestra sul periodo in cui tastiere e melodia dominavano l’etere: semplicemente immortali i contributi dei Survivor, spettacolari “No Easy Way Out” di Robert Tepper e “Hearts On Fire” di John Cafferty & The Beaver Brown Band (entrambi seguiranno Stallone anche su “Cobra”) e “Living In America” nientemeno che l’ultimo vero acuto di carriera per James Brown. Fu, prevedibilmente, un successo da milioni di copie. Nel film vi sono anche brani strumentali, composti da Vince DiCola (noto per il suo lavoro sul lungometraggio animato “Transformers”) e pubblicati ufficialmente solo nel 2010.
AQUILA D’ACCIAIO (IRON EAGLE, 1986)

Anno chiave per la U.S. Navy, il 1986: non solo il bombardamento di Gheddafi, ma anche il boom di arruolamenti per il successo di “Top Gun”. Un piccolo “thanks”, però, la Marina potrebbe riservarlo anche a questo film, inserito nel filone della guerra aerea e ispirato proprio alla campagna libica, la cui colonna sonora contempla alcuni grossi nomi dell’hard rock: King Kobra, Dio, Eric Martin, Helix. In questo contesto l’inclusione di George Clinton (e non dei Twisted Sister, pure ascoltati nel film) e degli Urgent risulta una curiosa stravaganza, per non dire un’espressione del cerchiobottismo dei discografici. Far girare questo disco equivale a calarsi nell’epoca, con tutti i suoi cliché (l’all American boy trionfante, il riscatto del veterano del Vietnam, i cattivi comunisti sconfitti, i synth magniloquenti, i rullanti annegati nel riverbero) insieme rassicuranti e inquietanti.
DÈMONI 2…L’INCUBO RITORNA (1986)

Pur potendo contare sul gotha dell’horror italiano (regia di Lamberto Bava e produzione di Dario Argento, che collabora anche alla sceneggiatura) “Demoni” non riscosse successo. Ci provò, un anno dopo, questo sequel, di dubbia qualità ma comunque curioso (nel cast Nancy Brilli, la decenne debuttante Asia Argento e persino un cameo di Michele Mirabella!). La soundtrack è nelle mani dell’inglese Simon Boswell, già con Dario Argento ai tempi di “Phenomena”: ne escono due avvolgenti e inquietanti strumentali, che calano le coeve tendenze delle sonorità cinematografiche (synth e drum machine) in un contesto prettamente hard rock. Notevoli anche le canzoni, che spaziano dal dark (Dead Can Dance e Gene Loves Jezebel) al puro hard rock (“Dynamite” degli Scorpions e “Rain” dei Cult), con i Fields Of The Nephilim a fare da trait d’union.
MANGIA IL RICCO (EAT THE RICH, 1987)

Grottesca spy-story con punte di cannibalismo, questa pellicola inglese irrorata di humor nero ottenne pochi riscontri, nonostante l’atmosfera trucidamente demenziale e la partecipazione di Lemmy e Paul McCartney. La colonna sonora, va da sé, è un affare da “motoristi”: sei pezzi sono affidati al trio britannico (oltre a una versione live dell’inedita “On The Road”, da “Orgasmatron” vengono l’omonima, “Built For Speed”, “Doctor Rock” e “Nothing Up My Sleeve” e dall’allora nuovo “Rock ‘n’ Roll” “Eat The Rich”, per la quale venne girato un video con spezzoni del film) e persino il chitarrista Würzel contribuisce da solista con “Bess”, lento strumentale bluesato alla Gary Moore. Il resto sono un pessimo synth pop, due strumentali e qualche contorno dell’attore e musicista Simon Brint. Curiosità per inveterate teste di motore e nulla più.
THIS IS SPINAL TAP (1984)

L’opera di Rob Reiner è uno spartiacque nella percezione del metal presso il grande pubblico, e le sue battute sono ormai diventate parte integrante della cultura anglofona. Narrando la storia della fittizia band inglese Spinal Tap, Reiner dipinge un impietoso ritratto del carrozzone rock, e l’effetto maggiormente comico è che la realtà è riuscita a superare l’immaginazione (una trovata su tutte: il black album). Curiosamente infimo è il livello del contributo musicale: spinti dal successo del film, gli attori-musicisti formarono davvero gli Spinal Tap e pubblicarono due LP accolti da totale indifferenza, sparendo subito. A parte i revanscismi di un pubblico metal punto nel vivo dal film, l’ascolto di quest’opera prima spiega il motivo del flop: scialbo rock vagamente hard e inutilmente pomposo, dal fiato corto e persino irritante. Il cinema può dare alla testa più dell’headbanging.
BILL AND TED’S BOGUS JOURNEY (1991)

Si tratta del sequel del fortunato “Bill and Ted’s Excellent Adventure” (1989), anch’esso permeato di sonorità hard ‘n’ heavy. Il ritorno è però preferibile sul piano musicale, perché la colonna sonora risulta maggiormente focalizzata e di piacevole ascolto. Mancavano sei mesi al boom del grunge e la tracklist lo dimostra: inediti di Slaughter, Winger e Richie Kotzen affiancano Megadeth (“Go To Hell” fotografa il passaggio tra il periodo più tecnico e la svolta radiofonica), Faith No More (“The Perfect Thing”, eccellente outtake delle session di “The Real Thing”), King’s X e Primus, con i Kiss di “God Gave Rock ‘n’ Roll To You II” a fare da numi tutelari. Le parti strumentali sono affidate a Steve Vai, e solo un paio sono incluse nel disco. Che è da avere, anche solo perché molti brani sono altrimenti inediti.
UN AGENTE SEGRETO AL LICEO (IF LOOKS COULD KILL, 1991)

Una scanzonata parodia dei film di spionaggio alla James Bond, la cui trama vede un dissoluto diciottenne sventare un complotto internazionale. La soundtrack è coerentemente calibrata sulle coordinate edonistiche e ridanciane della sceneggiatura, e l’hi-tech AOR della title-track (affidata alla meteora Glenn Medeiros), il convincente power pop degli inglesi Outfield e quel distillato di AOR che è “Maybe This Time” degli Stabilizers sgomitano fianco a fianco con Bang Tango, Robin McAuley (la melensa “Teach Me How To Dream”) e Trixter (“One Mo’ Time” anticipa i Bon Jovi di “Keep The Faith”). Menzione per “Loud Guitars, Fast Cars, Wild Wild Livin’” del supergruppo Contraband (Richard Black, Michael Schenker, Tracii Guns, Shane Pedersen, Bobby Blotzer), che è anche l’apice del suo unico e deludente LP. Disco riuscito a metà, come il film.
I MIGLIORI (BEST OF THE BEST, 1989)

Altra ossessione dell’epoca sono le arti marziali, e il cinema, calando tale passione “esotica” nel contesto culturale reaganiano, improntato alla supremazia americana ad ogni costo, crea un filone apposito, uno di quelli che più si serve di musica hard ma orecchiabile, specialmente AOR. Questa pellicola di seconda fascia schiera il batterista dei Traffic Jim Capaldi (ottima “Something So Strong”), i Golden Earring (ovviamente presenti anche con una versione live di “Radar Love”), la futura star del country canadese Charlie Major e un paio di nomi minori, tra cui risalta la anthemica title-track, di Stubblefield & Hall, perfetta per una sessione in palestra e brano migliore di un pur già valido lotto. Istantanea da un’epoca in cui calci e pugni nel dojo si potevano raccontare anche con le canzoni.
SONS OF STEEL (1988)

La trama di questo film di fantascienza australiano a base di viaggi nel tempo (pensate che originalità! E fu anche presentato a Cannes…) prevede un ritorno al passato per evitare il bombardamento di Sydney. Ne è autore Black Alice, avventuriero a metà tra Stallone e Rob Halford. Lo accompagnano musicalmente proprio i Black Alice, band di Perth (della quale l’attore protagonista del film, Rob Hartley, è il cantante) che firma l’intera soundtrack, costituente il suo secondo LP. I primi cinque pezzi sono heavy martellante ed enfatico e fungono da ideale commento alle atmosfere distopiche e violente della pellicola, ma la seconda parte del disco si perde un po’ tra sdolcinatezze sonore che non sono nelle corde della band e strumentali noiosi, affossando il disco. Che infatti fu il canto del cigno del quartetto australiano, scioltosi l’anno seguente.
ROCKTOBER BLOOD (1984)

Uno dei primi esempi di “metalsploitation”, questo slasher narra le vicende di una band assetata di sangue durante le sessioni per il primo disco. A fare da corredo alle immagini un album diviso a metà: il lato A è dei losangelini Sorcery (il cui cantante, Nigel Benjamin, ex Mott The Hoople e London, recita nel film come manager della band), quartetto tuttora attivo (si è costruito una reputazione per uno stage show in costumi di ispirazione fantasy) e dedito a un hard rock piuttosto canonico, mentre il lato B è affidato al rock grintoso ma melodico dei Facedown, sovrastato dalla ruvida ugola della cantante Susie Major. Nessun pezzo svetta per qualità, ma il disco ha il suo valore di costume (estetica, sonora e visuale, pienamente figlia del suo tempo) e venale (è relativamente raro e non ne risultano ristampe).
ROCK ‘N’ ROLL NIGHTMARE (1988)

Jon Mikl Thor, canadese, è un fenomeno del metal anni 80, e si è ormai impresso nella leggenda per le sue pose alla Conan e le trovate sceniche (indimenticabile la sbarra di metallo piegata con i denti!). L’evidente egocentrismo dell’uomo si è peraltro sublimato anche in ambito attoriale, del quale è massima (ed è tutto dire…) espressione questa pellicola, dal titolo eloquente circa la trama (stavolta la band sono i Tritonz). Pure la colonna sonora è integralmente opera di Thor, che, accompagnato proprio dai fittizi Tritonz, dà vita (oddio, vita…) al tipico hard martellante e cromato al quale i suoi precedenti album ci avevano abituato. Non agli stessi livelli del suo “capolavoro” “Only The Strong” ma pur sempre un divertente esempio di come coniugare sonorità heavy metal e atmosfere cinematografiche orrorifiche.
HARD ROCK ZOMBIES (1985)

Classico caso in cui il titolo racchiude la trama (che pure contempla figli nascosti di Hitler, nani e una cittadina di nome Grand Guignol), questo trucido esemplare di spazzatura su celluloide può tuttavia fregiarsi di una soundtrack composta e prodotta da uno dei nomi di culto di area AOR: Paul Sabu. Sei pezzi con le radici saldamente impiantate nelle sonorità tipiche del nostro, a cavallo tra chitarre graffianti e tastiere ariose, anche se maggiormente inclinate verso queste ultime: più Kidd Glove che Only Child, insomma. La storia ha decretato che la gloria di Sabu alberga in altri solchi, ma qualche spunto di qualità, come l’anthem “Street Angel”, non manca. Un altro mattoncino nel truculento edificio dell’horror di serie cadetta degli Eighties, con E.J. Curcio, voce e basso dei Silent Rage, nei panni del protagonista Jesse.
DAL PROFONDO DELLE NOTE: NIGHTMARE

Freddy Krueger è un’icona del cinema e tormenta i sonni del pubblico fin dal 1984, anno del primo film della serie di “Nightmare”, che vede ad oggi sette sequel e il remake del 2010. La fortuna commerciale di “Nightmare” coincide con quella dell’heavy metal, e non sorprende quindi che le loro strade si siano ripetutamente incrociate. Ma se i primi due episodi seguono una coeva tradizione horror di musiche scarne per solo synth (resta comunque memorabile l’inquietante tema composto da Charles Bernstein), è dal terzo episodio che le cose cominciano a farsi “pesanti”: asse portante del film è “Dream Warriors” dei Dokken (anche se la scelta originaria era caduta su “Into The Fire”, che infatti fu inclusa nella versione per cinema, venendo poi eliminata dall’edizione home video), che riscosse un enorme successo e venne pubblicata su singolo, con tanto di video girato con Robert Englund, inducendo i produttori a proseguire con il connubio metal-horror nei capitoli successivi della saga. E così il quarto film (1988) è un’apoteosi metallica fatta dello street degli ottimi Sea Hags, del southern AOR di Jimmy Davis & Junction, dei Love/Hate e dei Vinnie Vincent Invasion con “Love Kills” (per cui fu girato anche un video con Freddy), mentre su “Nightmare 5 – Il mito” (1989) si odono “Bring Your Daughter…To The Slaughter” di Bruce Dickinson (vi suona anche Janick Gers), i Romeo’s Daughter, gli W.A.S.P. e l’hard melodico e cromato degli Slave Raider e del mastodontico Mammoth. Ma i tempi stanno cambiando, e il nuovo capitolo, datato 1991, riduce il voltaggio: di strettamente hard ‘n’ heavy, infatti, ci sono solo due validi brani dei Johnny Law (americani autori di un unico, omonimo LP hard blues) e “Nothing Left To Say” dei Fates Warning, e ciò nonostante un’apparizione di Alice Cooper (già partecipe della soundtrack della saga “rivale” “Venerdì 13”) come padre di Freddy. Da qui in poi il metallo si dirada, per riapparire nel nuovo millennio con l’orgia nu metal di “Freddy vs. Jason” (2003).
THE SYNTHTRACK OF THE EIGHTIES: HAROLD FALTERMEYER

Ogni lettore ha familiarità con “Axel F”, tema strumentale portante della trilogia di “Beverly Hills Cop”, come pure con il “Top Gun Anthem”, che vede Tom Cruise vittorioso sui MiG russi ricordare il compagno caduto sulle note della chitarra di Steve Stevens. Entrambi tali monumenti della musica per il cinema si devono alla prolifica penna di Harold Faltermeyer, tastierista e compositore tedesco nonché uno dei maggiori responsabili dell’introduzione del sintetizzatore nelle soundtrack degli anni 80. Dotato di orecchio assoluto, ingegnere del suono per la Deutsche Grammophon, nel 1978, a Monaco, Faltermeyer si imbatte in Giorgio Moroder, altoatesino emigrato in Germania ma con in testa l’America: vi approderanno insieme, firmando alcune prestigiose colonne sonore (“Midnight Express”, “American Gigolo”) a base di suoni sintetici e armonie pop, fino al definitivo coronamento con “Top Gun”, la soundtrack più venduta di sempre: di Faltermeyer sono “Mighty Wings”, data ai Cheap Trick, il tema e tutte le musiche strumentali udite nel film (le prime mai registrate con modalità DDD e delle quali la sola “Memories” è stata pubblicata ufficialmente: nel 1999, con la versione estesa del CD). Metà anni 80 è il periodo più prolifico per Harold, i cui suoni sono ormai stilema consolidato del cinema d’azione: dopo la trilogia di “Beverly Hills Cop”, nell’87 commenta “The Running Man” di Schwarzenegger, nell’89 scrive la musica per “Tango & Cash” e l’anno seguente produce la soundtrack del film tedesco “Fire And Ice”, componendo tre ottimi pezzi AOR (la title-track, “Thunder & Lightning” e “Never Give Up”) per la cantante Marietta. Molto rilevante anche l’attività di produttore e songwriter, per gente del calibro di Donna Summer e Billy Idol. Con la nuova decade Faltermeyer rientra in Germania e diminuisce le uscite, dedicandosi ad altri progetti musicali (musical, videogiochi), ma è tornato a comporre per il cinema nel 2010 (“Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero”, con Bruce Willis). Ideale compendio della sua opera è l’antologia doppia “Portrait Of Harold Faltermeyer: His Greatest Hits”.